Per tutti i mozzi di primo pelo e quelli che soffrono il mal di mare.

Benvenuti a bordo!

Questo è il blog che ho aperto qualche anno fa per tenere gli appunti di qualcosa che ancora non sapevo e ancora non so. Nell'estate del 2014 ne è uscito un libro e si spera che presto ne esca un altro. Ha una pagina su Facebook dove possiamo rimanere in contatto (sono di buona compagnia e non sporco più di tanto).

Cap. NS

16 dicembre 2012

Manuale di teoria della velocità



Posso scrivere i versi più tristi stanotte

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio: “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri, in lontananza”.
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa io l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più. Sentire che l’ho persa.
Sentire la notte immensa, ancora più immensa senza lei.
E il verso scende sull’anima come la rugiada sul prato.
Poco importa che il mio amore non abbia saputo fermarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
Questo è tutto. Lontano, qualcuno canta. Lontano.
La mia anima non si rassegna di averla persa.
Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che sbianca gli stessi alberi.
Noi, quelli d’allora, già non siamo gli stessi.
Io non l’amo più, è vero, ma quanto l’ho amata.
La mia voce cercava il vento per arrivare alle sue orecchie.
D’un altro. Sarà d’un altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.
Ormai non l’ho più, è vero, ma forse l’amo ancora.
E’ così breve l’amore e così lungo l’oblio.
E siccome in notti come questa l’ho tenuta tra le braccia,
la mia anima non si rassegna d’averla persa.
Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi gli ultimi versi che io le scrivo.

P. Neruda, Venti poesie d’amore e una canzone disperata.



Per la mia puttana da letteratura.

Mi sveglio e sono in un treno. Non ricordo dove sto andando perché non ricordo di essere mai salito su questo treno, a dire il vero non ricordo nulla. Perché sono qui? Cerco fuori dal finestrino qualcosa di familiare che mi faccia capire dove sono e dove mi porta questo treno. Aspetto un cartello, una stazione al di là del vetro e non passa nulla di tutto questo. Come è successo a me che non riesco a dormire mai mentre viaggio che mi sia svegliato in un treno su cui non sono mai salito non lo immagino proprio. Adesso mi alzerò e chiederò al primo che capita chi sono e dove mi porta questo treno. Così penso, mi alzerò e gli chiederò: «Chi sono, e dove mi porta questo treno?»


Cammino dritto davanti a me, finché il treno finisce e non trovo nessun’altro passeggero. Fuori dal finestrino la fotografia mossa di una pianura e più lontano delle alture. A sinistra un borgo troppo lontano perché possa aiutarmi, però almeno so che sono ancora nel mondo degli uomini. Cammino allora nella direzione opposta, supero il mio posto e cammino ancora fino a raggiungere la testa del treno dove finisce di nuovo e non c’è nessuno. Che un treno finisce due volte ma non c’è nessuno qui. Qualcuno dovrà pur guidare questo mezzo. Busso alla porta della cabina con forza sul metallo senza ottenere risposta. La maniglia cede quando provo ad aprire e alla guida non trovo nessuno. Sono in un treno e non so perché, non so dove mi porta e da dov’è partito mentre le rotaie spariscono al di sotto della locomotiva e non c’è nessuno a spiegarmi cosa succede. Allora inizio ad urlare. Mi volto e lo vedo al fine, il mare. Allora realizzo: mi sono perso.

Il treno è un treno comune, un treno italiano e così piccolo non può che essere un regionale, non di più. Non può andare così lontano, anche se non so da dov’è partito. Forse mi allontano e forse mi avvicino, ma non so a cosa mi avvicino o da cosa mi allontano perché non so da dove viene e dove mi porta questo treno. Non so nemmeno se potendo scegliere non avrei scelto di perderlo questo treno. Un treno che puoi prenderlo o perderlo, se sai dove andare. Allora torno a sedermi e per dieci minuti almeno a me stesso non dico nulla, dentro e fuori della mia testa. E ora come farò? Con questa velocità se salto giù dal treno è finita.

Chi conduce questo treno, chi ne conosce la rotta?

I pensieri sono in disordine, portati dallo scirocco. È un treno italiano, dovunque stia andando sappiamo solo che arriverà in ritardo. E se qualcuno mi stesse aspettando al capolinea? Chi mi ha portato su questo treno mentre dormivo è chi ha impedito che io su questo treno ci salissi. E tutto questo potrebbe essere solo un sogno e quello che scorre dietro al vetro solo un miraggio ma ancora una volta sono in viaggio e non ricordo se la destinazione valeva il biglietto. Vado sempre dritto costeggiando il mare, senza sapere qual è il nome di questo mare, se è l’Adriatico, il Tirreno o il mare che fluisce dai tuoi capelli.

Chissà se questo è un viaggio di ritorno o di andata, chissà se è una fuga veloce, un manuale di teoria della velocità che mi porta vicino alle tue labbra o lontano dai tuoi occhi. Sì, deve essere così, questo treno ci separa o ci unisce, ma finora non lo so. Eri alla stazione quando sono partito o ti troverò una volta raggiunta la destinazione ad aspettarmi? Non stancarti mai di andare e venire sui miei fianchi come questo treno che non si ferma. E perdo cognizione delle cose, il tempo perde la sua fretta, come la scorsa notte e la notte prima ancora e la notte ancora precedente. 

Come la scorsa notte, la stessa fretta di arrivare, se non si sa dove si va. Sono lontano ora, dovunque io sia sono lontano ormai e non so se sto arrivando o non tornerò mai. Qualcuno qualche giorno fa ha cercato di tirarmi e questo treno forse mi porta e forse è ancora fermo dove l’hai lasciato, forse lo spazio non trascorre davvero. Chiudi gli occhi, sono io, mi senti in gola? Ma questo treno dove va io non lo so più. Non si fermerà finche non ci sarai tu ad aspettarmi a quella stazione che nessuno conosce a parte noi due, dove il treno ferma in mezzo ad un giardino di fragole, le stesse fragole che ti ucciderebbero. Sui miei vestiti ancora il tuo odore e allora mi interrogo di nuovo. Questo è un treno che avrei preso o che avrei perso? Davvero ci credi così poco ancora da avermi lasciato andare via come lo scirocco? Davvero non ti sconvolge che questo treno mi porti via da te? Non voglio crederci.

Allora va' alla stazione e inizia ad aspettarmi, siediti dapprima, e guarda le rotaie vuote. Poi ascolta il narratore fuori campo di tutti i viaggi in treno e cerca fra gli arrivi il mio nome, che la strada è stata percorsa, e adesso non resta che arrivare. Poi inquietati, e scopri il prezzo della felicità, inizia a camminare avanti e indietro e aspettami. Ogni tanto guarda i tabelloni. E ancora dai un’occhiata all'orologio  Non arrivo, vero? Forse manca ancora qualcosa allora, per fermare il mio treno. Sei sicura di averle provate proprio tutte? In fede tua giureresti che non c’è nulla che non hai già provato a fare per fermare il mio treno? Eppure guarda lì cosa c’è, quella linea gialla.

“Non oltrepassare la linea gialla”, dice un cartello. Un divieto che qualcuno ha imposto e che non siamo mai riusciti a violare, un passo oltre quello che ci è negato che non abbiamo mai compiuto, l’ultimo strappo di pochi centimetri e saremo liberi da questo velo di lacrime. Questa è la scelta della crisalide, la paura di volare. Ecco dove sono i freni di questo treno.

Porta un passo avanti alla linea gialla dunque, prepara il migliore dei tuoi abbracci e ascolta cosa dice la voce e cos'è in arrivo.












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