Per tutti i mozzi di primo pelo e quelli che soffrono il mal di mare.

Benvenuti a bordo!

Questo è il blog che ho aperto qualche anno fa per tenere gli appunti di qualcosa che ancora non sapevo e ancora non so. Nell'estate del 2014 ne è uscito un libro e si spera che presto ne esca un altro. Ha una pagina su Facebook dove possiamo rimanere in contatto (sono di buona compagnia e non sporco più di tanto).

Cap. NS

4 novembre 2012

Diario del Capitano - VERSIONE INTEGRALE


Perchè un pirata?

Premessa "sine qua non"
Ero presso il lago di Campotosto (AQ) quando ne parlai con F., perché scegliere di essere proprio un pirata? Di per sé il Capitano è un condottiero, ma a questa immagine sicuramente positiva si contrappone il fatto che il Capitano in questione è un malfattore. Perché scegliere di essere proprio un pirata allora? Distinguiamo tre tipi di comodo fra tutti i Capitani possibili: il Capitano di una nave mercantile, il Capitano di una nave militare e un Capitano pirata. Il terzo, contrariamente a quanto sembra, nel suo essere un personaggio negativo è il più puro, a modo suo.

Il Capitano mercantile è anch'esso un mercante, un venditore ed un compratore se non proprio un "fattorino", agisce per interesse e da questo ha le mani legate.

Il Capitano militare è un soldato, impartisce dei comandi all'equipaggio conformi agli ordini che ha ricevuto dai suoi superiori e da questi ha le mani legate.

Un Capitano pirata è un furfante, un individuo indegno di fiducia, un baro. Resta che sia un criminale, ma il punto è che non ha paura di essere colpevole. Negativamente è libero.

Ho iniziato questa serie (finalmente pubblicata in versione integrale) perché mi aiutasse nell'affrontare un momento buio, in cui la mia nave era condotta dalla corrente e la rotta era incerta per via delle onde. Poi l'esigenza di essere di nuovo al comando di se stessi (una forma di dittatura democratica) mi ha portato verso un nuovo tesoro. Nessuno o quasi mi ha sorretto mentre cercavo di essere promosso, non si diventa Capitani dalla sera alla mattina. Quello che conta però è che adesso sono io "il Capitano della mia anima", e decido io per la mia rotta.


I

Ho pensato una cosa, se vincessi la lotteria vorrei comprarmi un autobus. Sì, lo so che non è proprio uno dei dieci desideri canonici che esprime un neonato milionario, però a me piacerebbe. 
Come quando sono in cucina, sono io il dittatore dei miei sogni. Come quando non sei con me, ed è arrivato il giorno, immagino che tu invece sia al mio fianco, guardando verso l’altro lato. Nei miei sogni fai tutto quello che voglio, non c’è democrazia; solo desiderio, solo il mio.
Dopotutto dovrò avere una nave, prima o poi. Altrimenti che Capitano sono? Ho pensato questa cosa mentre tornavo a Teramo. Vorrei comprarmi un autobus, per issarci la mia bandiera da pirata, riempirlo di uomini rudi e poco profumati con il vizio dell’alcool (tranne per quello che sta al timone). Vorrei avere un autobus per portarti, potremmo dividere le file in fondo dal resto con una porta in modo da farci la cabina del Capitano. Con una botola sul soffitto, e una balaustra per salire sul ponte e guardare da lì il mondo. È un’idea carina, no?
Mi piacerebbe vederti addormentare mentre la finestra cambia di continuo la sua inquadratura mossa, cambiano gli scenari, le luci. Ogni notte una luna diversa. Solcare il mare, quel grande mare che è il mondo, io e te. Perché tutto il mondo è un mare, non lo sapevi? Quello che mi affascina della neve, invece, è che per quanto tu possa arrivare in alto, la neve arriva sempre sopra. Prendi le montagne, ad esempio. Che presunzione, e che brutta figura.
Stamattina sono stato al porto di Teramo. Teramo è una provincia dell’entroterra abruzzese, che non sta sulla costa come ad esempio Pescara, ma non per questo non ha un porto. Ma certo, pensa che ingiustizia sarebbe se tutte le città che non affacciano sul mare non potessero avere un porto. Teramo, dunque ha un suo porto, e stamattina ci sono stato. Mercanzie d’importazione, le spezie, la gente di ogni dove. Tutti con lo stesso sguardo poi, uno sguardo che ti fa capire che sono solo di passaggio, come in ogni porto, che è solo un transito il loro. 
Che potendo scegliere non starebbero là.
Il porto di Teramo è in via Irelli, è l’Eurospin. Se sei capace di vederlo allora c’è, se sei capace, altrimenti ben si traveste e inganna con il suo costume da discount. Dopotutto è nove febbraio, a breve sarà carnevale. E Teramo ben nasconde il suo porto, forse dai pirati, ma non da me. Sono un pirata assennato io. Io ti amo.
Navigo sul’abisso dell’esistenza, e talvolta la mia rotta e sicura, talvolta credo di essermi perso. Talvolta seguo le stelle, talvolta vado seguendo la corrente (devo essere invecchiato). La corrente, quella, mai seguirla. È una di quella sere che bevi credendo di ferire il mondo quando invece fai del male solo a te stesso, la corrente. E così, la mia esistenza tutta è come il mare, cambia di continuo. Quello che vedi oggi non lo vedrai domani; le persone, i posti, spariscono all’orizzonte. Ma tu ricordati di me, altrimenti ci saremmo persi per sempre. E semmai mi scriverai ricordami che i pirati non hanno mai paura, mai. In battaglia, con le donne e con il mondo, mai. Ricordati che se non ci dimenticheremo mai non ci saremmo mai separati, nulla sarà cambiato anche in questa vita che per non essere una fotografia ha scelto di essere il mare. Ricordami che i veri pirati non hanno mai paura, nemmeno quando dovrebbero. Io vorrei vivere in una foto, perché un po’ di paura in fondo ce l’ho, ma non si può. Allora guardo la realtà mutare attraverso la finestra della mia cabina, spostando la tenda per vedere quello che passa; perché la verità non è altro, non è di più: è un passaggio. Non lo era prima e non lo è più, lo è stata solo per il timido istante in cui stavo scrivendo. Tutto qui, è un passaggio, ma ricordati, ricordami e noi due non saremo un passaggio, non passeremo mai. 
Navigo senza fretta di trovare terra, senza indagare troppo le carte nautiche. Il viaggio è lungo, ma prima o poi tornerò.

II

Appunto su questo diario le mie rotte mentali, cosicché semmai mi perdessi magari su questo promemoria potrei risalire indietro nel tempo, cercando di ritrovare la strada. La scatola nera della mia anima, perché in fondo se non ricordi i tuoi progressi non avanzi mai oltre la linea di partenza.
Mi ero detto che non avrei ceduto alla tentazione, che non ne avrei scritto. Definiamolo … un “atteggiamento”? Descrizione poco precisa forse. Definiamola “sensazione”, ecco. C’è un problema, con me non si gioca per finta. “Tutto col gioco, niente per gioco”, diceva Bp. Allora come in ogni partita ci sono delle regole. Tu vuoi giocare? Hai già le fiches in mano, deduco che tu voglia giocare. Sai che si vince e si perde, questo lo sai vero? È come la roulette russa, non si gioca per finta, lo ripeto.
Allora hai deciso davvero di puntare? Bene.
E adesso come si gioca? Dove si mettono le mani in questo gioco, dove si guarda? Un’atmosfera dixie, un riff ossessivo mi mette fretta, non sarà troppo alto il volume? Non vorrei che la musica ti disturbasse. Cosa decreta il vincitore ed il vinto? Qui mi pare che si perda ogni spirito di competizione piuttosto. Rilassati, ci avviciniamo alla fine del tempo stabilito, corre troppo piano o troppo veloce? Ancora questa musica …
Come i tuoi capelli così stasera, piena di nodi. Un attimo smette di far freddo ma magari tremo lo stesso. Non sono i brividi, sono i pensieri. Perché non pretendo che tu ci pensi, ma non puoi chiedermi di fare lo stesso. Capisci dove sei, non è casa tua. Non parliamo di dove vive la tua famiglia e ci sei cresciuta; parliamo di novità, lascia il cemento e i mattoni a chi di dovere. Quando ti sveglierai che cosa dirò?
«Non ne so nulla, sono innocente!»
Non sarei credibile con l’accento del Sud. Io invece so. Almeno per quello che mi riguarda, ne sono cosciente. La stanchezza è molta perché l’ora è tarda, ma non basta a perdonarmi. Perché se non si gioca mai per finta allora conviene sapere le regole dato che il rischio è alto. Non fraintendermi, non voglio spaventarti. Solo che sono un po’ sottosopra. A me è piaciuto. Tu che ne pensi? Perché per favore, dimmi che almeno un attimo ci hai pensato. Scusami se ti spavento, non c’è ragione per cui tu debba avere paura, è solo che vivo troppo forte. La coperta è corta, bisogna stare vicini.
Fatti toccare stasera, perché domani mattina non me lo lascerai fare. Una debolezza casuale, possiamo giocarci ancora quando ti va. È un libro nuovo; un paese che sai che è diverso, ma non sai com’è. Molto raffinato lo immagino, da cartone animato a tratti. 
La Cabina del Capitano è sempre aperta per te. Magari in alcune cose sono un po’ arrugginito. Arrotondiamo a tre centimetri, la distanza di sicurezza minima, il margine d’errore non consentito e la coscienza è apposto. Perché alla fine di questo si tratta: di un rischio. Come Giulianova, un azzardo, non c’è tempo per andare al mare ma dalla stazione sentiamo il suo canto.
Forse era una cosa di cui avevo bisogno, sulla lista della spesa. Forse è quello che non sapevo di volere da te. Ma non abituarmi troppo all’idea di vederti in questo letto, altrimenti qualche notte potrei iniziare a sentire la tua mancanza.

III

Spesso non indaghiamo le cose se non limitandoci al loro riflesso e spesso questo accade con noi stessi. Se è vero che la luce dona i colori è anche vero che il colore stesso che si percepisce è l’unico che l’oggetto in questione non assorbe, appunto riflette. Domandiamoci quindi se la camicia rossa di Garibaldi era davvero rossa o tutto fuorché rossa? La seconda, a dire il vero.
È fisica, non una mia opinione, non una teoria stavolta. Eppure ci soffermiamo sull’apparenza, sul riflesso della forma. Perdiamo così la direttiva, rifiutiamo di cogliere la luce vera. Come l’astronomo che cercava la luna nel riflesso di un pozzo, ci accontentiamo a volte delle menzogne che raccontiamo a noi stessi. Come tutte le immagini fittizie basta poco poi per svelare l’inganno; un sasso nell’acqua che turbi la superficie, ad esempio. A questo punto la verità ci appare diversa e non sappiamo a più a cosa credere. Qual è più reale, l’immagine definita della luna nel suo riflesso nitido oppure quella che ci rivela i nostri errori ma che – fra le onde dell’acqua – ci appare meno chiara e credibile?
Questo è il fascino dei cambiamenti, l’instabilità. È il momento nel quale, fra un passo ed un altro, si rischia l’equilibrio in bilico su un piede solo; l’istante di dolce morte tra espirare e respirare nuovamente, che un frangente ci trattiene il respiro. 
Bisogna avere paura di questa precarietà? Bisogna temere i sassi che rovinano la superficie?
Attori o spettatori della propria vita? Dubbio degno del defunto re di Danimarca. Arrendersi alla vita o vivere? Navigare con le stelle o con la corrente? Intanto il vento scuote il mare e ancora confonde i riflessi di ogni cosa.

IV

Come si spiega una cosa del genere? Non saprei, come non me l’hai spiegata tu forse. Ah, ecco … con una metafora. Che poi questa storia delle metafore spesso è fuorviante; è come sgattaiolare dall’uscita su retro, ma stavolta non saprei proprio come fare diversamente. Il problema è: come s’immagina?
È un paesaggio, ma non un paesaggio scontato. Una serie di colline che disegnano una vallata, verdi d’erba. Un paesaggio inebriato di una brezza fresca, con un odore pungente nell’aria magari, ma non eccessivo, definiamolo giusto. Un posto molto raffinato, mai esagerato, mai esasperato. Senza belve feroci, un paesaggio rassicurante, dove passeggi tutto il giorno per sentirti solo umano. Non per questo deve essere banale però, è solo genuino e poco artificioso; poco allenato ma non per pigrizia, perché non programmato, non studiato. Ma nemmeno accidentale, è essenziale. È … è pane, ecco. Sì, stavolta ci siamo! 
È come pane, magari anche a suo modo faticoso, ma senza perdere moderazione e senza perdere raffinatezza; perché quella è la chiave (in questo caso): la raffinatezza.
Raffinato, essenziale. A tratti un po’ troppo classico, ma ognuno di noi ha le sue sorprese da far spuntare dal cilindro, anche tu avrai le tue. Un senso di casa, di caldo che non è mai afa, di un luogo dove a fine giornata riposarsi. Un angelo che dopo una settimana d’impegni e miracoli al sabato sera ha bisogno di una birra, una Guinness magari. Scura, che lo senti che non è come le altre, che lo capisci che ha degli “ingredienti” diversi, ma che ti deve piacere; inesplorata ad ogni sorso. Una sensazione per cui una cosa normale diventa speciale proprio per l’effetto sorpresa, che quasi stupisce perché esiste, che quasi sorprende nell’essere. Un luogo dove ciò che era nella sua forma originaria riacquista questa forma eliminando il logorio del tempo. Un gusto che non si tratta di accontentarsi ma di guardare le stesse cose di una vita come se fossero regali di compleanno da scartare, dove si ritrova entusiasmo per i giochi da bambini. Un regalo dal pacco sigillato e senza fiocco - per la precisione - che metà del regalo è l’ansia di aprirlo. Ecco, non si ama davvero se non si è bambini, perché in genere le cose si guardano due volte: la prima volta e tutte le altre volte. E quindi questa è la differenza: quello che non troveresti altrove, la stessa sorpresa che ogni giorno fa diventare un compleanno.

V

Amarsi è un viaggio di sola andata, è una scommessa in cui si punta tutto, non si torna indietro nemmeno volendolo. Tu che dici che non ti amo, sai di cosa stai parlando? L’amore è un biglietto senza scampo, allora io ti amo e magari non sono in grado di fartelo capire, ma questo non vuol dire che non ti ami. Certo è una cosa che si dimostra, che ogni giorno si corteggia e su questo hai ragione ma dimmi, puoi dirmi davvero che non ti ho mai amata? E se la tua risposta è sì, come puoi dire che non ti amo più? Che magari quella sera che te l’ho detto ho commesso un errore?
Puoi crederlo se ti aiuta a dimenticare che una volta ti amavo anche secondo il tuo parere; ma non pretendere che io sia d’accordo, che io ti dia ragione. Non mi chiedere di pentirmi di uno sbaglio che rifarei mille altre sere, non mi dire che così è meglio anche per me. Per me eri meglio tu. 
Sì, forse sono un Capitano che qualche voltasi lascia trasportare dalle onde credendo che sappiano dove è giusto puntare la prora e le vele, ma sono sempre io. Tutto passa, così dici? Passa solo ciò che era destinato a passare, e non vuoi credermi ancora? Allora forse per te passeremo, lasceremo che questo stillicidio si compia, bene. La colpa è mia, lo so, ma qualsiasi tesoro perso in battaglia può essere riconquistato, basta solo avere altro sangue da versare.
Perché in amore non puoi dire: «Sono stato ferito da un colpo di sciabola e non riuscivo più a combattere!»
Non funziona come un libro. Nei libri è tutto così teatrale, tutto s’incastra perfettamente, tutto gira di un ingranaggio ben oliato. Questo perché ci sono due personaggi forse, ma un solo desiderio: quello dello scrittore. Questi sono i libri, la vita invece è diversa, non hai il tempo per essere ferito. L’arrembaggio è come uno spettacolo, deve andare avanti fino alla fine.

VI

Il mio musicista preferito una volta scrisse: “È morto il mio amico più caro. È morto suicida.” Ma se adesso scrivo, non è per dire che ho intenzione di appendermi (nemmeno l’amico di cui sopra era morto per davvero), ci mancherebbe.
Io credo che ognuno di noi sia un pezzo di storia, di una storia in particolare che però non è la sua, non solo. Ognuno di noi è la tessera di un puzzle, che necessita alla completezza dell’immagine come se uno avesse il valore di tutti gli altri. Quei pochi che avranno letto il mio “tentato romanzo” sapranno già cosa ne penso dei pezzi di puzzle trattati con noncuranza. Ciascuno di noi ha il dovere di non smarrirsi, e tutti gli altri hanno l’obbligo di non perdere di vista gli altri pezzi. Vi sono pezzi di disegno che s’incastrano, e pezzi che non sappiamo dove mettere perché non riusciamo a capire dove vanno oppure sono pezzi di un altro mosaico e noi ancora non lo sappiamo. Una cosa è certa, io sono un pezzo difficile da collocare e lo riconosco. Il motivo l’ho già espresso nella seconda parte di questa serie: “C’è un problema, con me non si gioca per finta. ‘Tutto col gioco, niente per gioco’, diceva Bp. […] Scusami se ti spavento, non c’è ragione per cui tu debba avere paura, è solo che vivo troppo forte.”
Ciascuno come un “nodo del pescatore”, le corde si tengono l’un l’altra, si afferrano dal resto del mondo; diventa tutto così difficile allora. Un vero Capitano ha la stessa espressione in viso quando il mare e piatto e quando è in burrasca, altrimenti i suoi uomini come faranno? Ma non vuol dire che non abbia paura anche quando non lo dimostra, col mare non si può essere indisponenti, spavaldi. Al mare non si può mentire. 
“Ma tu ricordati di me, altrimenti ci saremmo persi per sempre. E semmai mi scriverai ricordami che i pirati non hanno mai paura, mai. In battaglia, con le donne e con il mondo, mai.”
 Dal Diario del Capitano, parte prima.
Veniamo allora al punto, sulla mia nave è tempo di arruolamenti, è tempo di esserci. La paga fa schifo e le possibilità di morire sono considerevoli. L’equipaggio … perché il mare è mosso, ed è un mare di lacrime; altrimenti non sarebbe salato. È tempo di presentarsi dunque, di salpare come vorrebbe il vostro Capitano, perché riconosco che qualcuno magari a modo suo si sente già parte della ciurma ma un Capitano non dispensa consigli, per riportare a casa i propri uomini deve dare ordini. E questa nave in balia delle onde, troppe volte è stata condotta fino al mattino senza equipaggio e senza ufficiali. 
È tempo di rimodulazione, dunque è l’ora di mollare gli ormeggi e per fare ciò necessita un aiuto perché il mare è mosso, ed è un mare di lacrime.

VII

A mia sorella, promossa a Primo Ufficiale della mia nave per meriti sul campo.
Lungo le strade del mare ci sono porti sicuri e ogni Capitano in fondo al suo cuore lo sa. Ci sono baie che anche se è da qualche tempo che non vi attracchi, saranno sempre là ad aspettarti con una locanda, una pinta e una donna che non attende altro che avvistare la tua bandiera all’orizzonte. Sono porti che nessun altro eguaglia in tutto il mare e l’oceano. E così la mia nave fa vela verso casa che non è mai un posto stabilito è dove tu vuoi, proprio per questo. Il primo viaggio del mio veliero giunge al termine. 
Riportando a casa il mio corpo ancora non mi è chiaro qualche passaggio. Guardo le mie mani sul timone, le vene esposte, le unghie sporche di chi maneggia la vita senza cura, senza paura di sporcarsi. 
Non si capisce mai, dove finisce, note oltremare dilatano gli orizzonti da un ponte di Pescara; la brezza giusta per esprimere un paio di desideri. Sul mare dondola tutto, le certezze e le sicurezze insieme ai dubbi; quando sali in sella al mare. Vivi tutta la vita su una montagna e poi senti che era troppo tempo che non andavi a vederlo. Tutta la vita in una città fredda di montagna e poi ti trovi a condurre, a capitanare una nave. Conti il vento che riempie le tue vele e speri che le onde non ti spingano troppo fuori rotta.
Le onde e il vento sono due facce della stessa medaglia, come amore e odio. Il Capitano sta tornando a casa, il sole tramonta quando il viaggio è ormai concluso; sceglie di morire con calma, non si mette fretta alla vita. Tramonta sulla terra e mai nel mare, perché è L’Adriatico e al mare non si chiedono spiegazioni, la ragione è l’esistenza stessa. 
Anche questa partenza ha la sua busta; il panorama torna alla norma, la nave ai suoi ormeggi. Delle ore restano i minuti fugaci.

VIII

Ringraziando Chiara e pensando ad Eugenio.
Esistono due vite, come insegna la filosofia, una di spirito ed una di corpo. Esiste una vita all’interno ed una vita all’esterno e com’è vero che permettiamo a pochi - secondo varie sfumature di grigio - di conoscere davvero la nostra vita esterna è ancora più vero che a pochissimi è data la possibilità di conoscere la nostra vita interna. Di solito sono le persone che sanno come chiederle certe cose e quindi siamo noi stessi a spingerli oltre quella porta.
Diceva A. che da una nave puoi scendere, ma dal mare no. Aveva ragione, come sempre.
E il mondo (ma soprattutto il Capitano stesso) deve sapere che dietro ad ogni Capitano, dentro ad ogni Capitano c’è un uomo. Al di sotto della sua giacca e nel risvolto delle sue mostrine, al di là di un grado c’è un uomo. C’è un uomo che anche se cerca di essere solo un Capitano alle volte chiede troppo alla sua professionalità, si sopravvaluta. E lo stesso equipaggio deve capirlo, lo stesso uomo che deve controllare le carte nautiche, indagare il cielo, ispezionare le stelle, dare ordini agli uomini che porta come gli fossero figli. Ma qualche volta può fallire, e sentirsi in colpa per questo. Ma non è un superuomo, è solo il Capitano. E spesso sa che il fallimento non è il suo, ma il mondo glielo attribuisce per la sola ragione che a differenza di come fa di solito, stavolta il Capitano non ha salvato tutti dalle loro stesse mancanze e magari la sua nave ha subito delle perdite. Chi progetta un ammutinamento si ricordi dell’uomo Capitano, si ricordi di Nanni. Tutti chiedono, esigono; ma cosa danno? Troppo comodo venire poi chiedendo: “Chi ti ha chiesto di fare il Capitano?”. Me l’ha chiesto (ma non solo) la vostra storica incapacità ad esserlo al mio posto!
E qual è forse la colpa di questo Capitano, non aver ammesso la sua debolezza? Se l’avesse fatto la nave stessa sarebbe affondata portando tutti con se. Tutti pronti a rimanere delusi da questo Capitano che troppo bene vi ha abituati. 
Se il Capitano è un uomo allora oltre alle questioni della sua nave avrà le proprie “insolutezze” personali, questo lo differenzia da una macchina che dà ordini a gettoni.
Ma non concludiamo così il nostro diario. 
E così questo Capitano è tornato a casa perché il mare sfinisce e adesso conterà le cose che sono cambiate e le cose che rimangono come le ricordava. Ha ancora molti dubbi, ma non è un male perché per definizione un Capitano è colui che pensa. Ed è bene che dubiti, perché sa che deve allenare la propria intelligenza al pericolo. Ogni Capitano ha la sua donna in patria che appena lo vede gli renderà uno schiaffo perché non ha dato sue notizie, allora il Capitano lo ritirerà.
Puoi scendere da una nave, ma quando sei a terra e tutto dondola ancora è perché dal mare non puoi scendere mai per davvero. Quello è il segnale che ti fa capire che alla fine quelle coste ti mancano e ormai è troppo tardi perché prima o poi tu non debba tornare a veleggiare. Succede quando si passa quella linea che divide il mare dalla vita, oltre la quale non si torna più indietro.

Potenza - Teramo - Potenza, 09/02»21/03/2012.

Cap. Nanni Schiavo




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