Per tutti i mozzi di primo pelo e quelli che soffrono il mal di mare.

Benvenuti a bordo!

Questo è il blog che ho aperto qualche anno fa per tenere gli appunti di qualcosa che ancora non sapevo e ancora non so. Nell'estate del 2014 ne è uscito un libro e si spera che presto ne esca un altro. Ha una pagina su Facebook dove possiamo rimanere in contatto (sono di buona compagnia e non sporco più di tanto).

Cap. NS

18 settembre 2012

Tutto quello che serve sapere per conseguire la patente di guida



Esiste una differenza, secondo me. Questa è la prima cosa da sapere. Una differenza fra guidare un’auto per andare a fare la spesa e guidare la medesima auto per passione. La seconda ipotesi, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non implica il piantarsi avanti alla televisione quando c’è il Gran Premio o comprare ogni mercoledì una rivista di auto. No …

Non ho mai fatto nessuna delle due cose, eppure posso dire di guidare per passione. Questo perché guidare non mi stanca mai, perché lo faccio anche solo per il piacere di farlo, di essere quello che non beve per portare tutti gli altri a casa, di essere chi conduce. Il Capitano di una nave che devi stare attento a non bagnarla, altrimenti si spengono le candele e non naviga più. Non a caso si chiamano “pirati della strada”.  Questa è la prima cosa che occorre sapere, secondo il mio giudizio per essere idoneo alla guida di un autoveicolo.

Poi ci sono i dettagli, che orbitano in funzione di come interiorizzi questa prima differenza, lo sterzo, ad esempio.
Il pedale a sinistra invece è la frizione. Non è solo un dettaglio.
Cruccio dei neopatentati e degli aspirati tali, un gioiello sottovalutato. Il pedale a sinistra è un’emozione, è l’enzima che regola il battito della macchina. Solo perché si chiama macchina non vuol dire che non viva, attenzione. A modo suo, se sai farle palpitare il cuore, vive. Si preme quando è il momento di cambiare marcia, in accordo con l’acceleratore. La parola “accordo” è da intendere nell’accezione musicale del termine. La questione è conoscere in anticipo le proprie intenzioni quando cambi marcia, sempre secondo me.
La Ford T, la prima automobile della storia (il famoso “carro senza cavalli”) aveva una sola marcia, ma a diversa marcia corrisponde una diversa emozione.

La prima marcia serve a scambiarsi i nomi, per partire. È una cosa importante, perché bisogna sapersi chiamare, è fondamentale per ritrovarsi nella folla di una di quelle sere che non dobbiamo perderci d’occhio.  Conosci il mio nome e conoscerai una parte considerevole di me, definiamolo il “Kit di sopravvivenza”.

La prima marcia è per scambiarsi i nomi, la seconda è per volersi bene. Lì dove sei già partito, e non hai fatto spegnere il motore, per essere un principiante sei bravo. Quando sei in partenza, ma senza essere fermo, un moto un po’ precario. Vuol dire avere cura l’uno dell’altra. Quando devi accendere a strappo, la seconda.

La prima marcia è per scambiarsi i nomi, la seconda è per volersi bene e la terza è per testimoniare un impegno. Per scegliere da che parte stare.

La prima marcia è per scambiarsi i nomi, la seconda è per volersi bene, la terza è per testimoniare un impegno, la quarta è per non tornare indietro. A questo punto hai una velocità che dilata lo spazio di frenata, è per non potersi fermare, la quarta è per amarsi. Per dipendersi, avrebbe detto qualcuno. La quarta è una marcia che potresti tenere all’infinito, il motore non sembra strozzato, non soffoca più di tanto, è una marcia che “tanto” non sembra mai “troppo”. È una marcia comoda, la quarta, nulla da dire, ma a volte non si può vivere tutta la vita in quarta. Prima o poi si esplode, questo è il problema. A essere sempre buoni alla fine si rompe qualcosa nel meccanismo, è un’equazione.

La prima marcia serve per scambiarsi i nomi, la seconda è per volersi bene, la terza è per testimoniare un impegno, la quarta è per non tornare indietro, la quinta serve a spingersi oltre. Per iniziare il rischio di una marcia che ha il massimo della velocità minima. La quinta serve per andare in fretta da una Potenza all’altra, per ripararsi da sguardi indiscreti. La quinta in un certo senso è il contrario della quarta. La quinta serve ad essere cattivi. Ingrani la quinta quando non ce la si fa più a stare in quarta, quando non se ne può più, pur volendo. La quinta serve ad andare più veloci che si può, a tentare di raggiungere il massimo. 3.000, 3.500, 4.000 giri al motore, la quinta serve a non pensarci troppo su. A mettere a rischio se stessi e gli altri, ad andare oltre il limite; la quinta serve, in una parola, ad essere colpevoli. Siamo meridionali, dobbiamo avere i nostri crimini.

La prima marcia serve a scambiarsi i nomi, la seconda è per volersi bene, la terza è per testimoniare un impegno, la quarta è per non tornare indietro, la quinta serva a spingersi oltre, la sesta non c’è. Non vuol dire che non esista, solo che non c’è. La sesta è quella marcia luminosa, è tutto quello che non sei mai stato, tutto quello che non hai e tutto quello che ti auguro. Tutto quello che vorrei dirti e tutto quello di cui dovremmo parlare, i passi che non abbiamo ancora percorso, la paura e il coraggio, tutta la velocità che non abbiamo mai raggiunto e le forme che non abbiamo mai esplorato nelle immagini stirate di una fotografia mossa.  Tutto ciò che resta inesplorato, la sesta è meraviglia. È la notte in cui non abbiamo ancora fatto l’amore, l’atmosfera che non abbiamo ancora creato, la sesta è il sudore sulla fronte, i vetri che non abbiamo ancora appannato. Ogni bugia che ci siamo detti e che abbiamo detto agli altri. Una cosa che ho scritto solo nella mia testa, un bisogno che non riusciamo a chiamare voglia.

Le marce servono a farti capire a che punto sei.

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