Per tutti i mozzi di primo pelo e quelli che soffrono il mal di mare.

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Questo è il blog che ho aperto qualche anno fa per tenere gli appunti di qualcosa che ancora non sapevo e ancora non so. Nell'estate del 2014 ne è uscito un libro e si spera che presto ne esca un altro. Ha una pagina su Facebook dove possiamo rimanere in contatto (sono di buona compagnia e non sporco più di tanto).

Cap. NS

16 aprile 2015

Canzone per Marie Claire - PROLOGO

Lo dico subito, non è definitivo né revisionato. È una bozza.

L’indice ed il medio sotto, il pollice sopra. Sarebbe forse più comodo tenerla anche con le altre dita ma le dà come una leggerezza il fatto che due dita avanzino nel tenerla in mano. La fa lieve. È un pettine per le principesse e ha bisogno di due ali per esser leggero. La parte finale, in legno, è posata nel palmo della mano, non lontana dalle ali. Georges l’impugna come se fosse nulla, la stringe piano ma non così tanto da non sentirla. Il suo esercito è pronto, lui le fa toccare tre volte il leggio degli spartiti e si comincia.

Quella stessa mattina a Siviglia un campanello suona senza sosta, fuori della porta un tale con una cosa importante da dire lo tiene premuto già da qualche secondo perché il padrone di casa si svegli. Non soddisfatto del fastidio che arreca all’inquilino – che per fortuna viveva da solo – inizia a pigiare il tasto con intermittenza, secondo un ritmo che scandisce nella sua testa. È l’alba. La rabbia di chi apre la porta tuttavia si spegne all’istante quando il bussatore riesce ad infilare due parole prima che lo svegliato inizi la sua scarica. Gli suona qualcosa nella testa allora, anche se ha ancora sonno, come per una scala di priorità della vita. L’altro ha detto solo: «È morto.»

Come vuole oggi i capelli, principessa? Georges inizia a manovrare nell’aria, lievi le sue virate. L’esercito conosce tutti gli ordini, ognuno di loro ha scritto davanti a sé quello che deve fare, dove deve andare, fra cinque righi di un codice segreto. Georges li tiene a sé, con la sua bacchetta da direttore d’orchestra, li tiene uniti. Un tale di nome Jean-Baptiste Lully, anch’egli direttore, morì ferito dalla sua bacchetta. Era il 1687. Georges lo sa, ma non pensa mai a quella storia.

«Quando è successo?»
«Poche ore fa.»
Si tiene allo stipite della porta per non morire insieme al suo amico, è in tenuta da notte e per la strada ma non si accorge nemmeno del freddo. Pensa, pensa che non c’è più niente da pensare. Al mondo non è rimasto più nulla da pensare in quel momento. Passano così dei minuti di silenzio mentre il suo compagno sta piangendo, lui lo guarda, per distrarsi sta giocando con una foglia d’autunno caduta in una grossa pozzanghera. La spinge con la punta della scarpa verso il basso e quella torna subito a galla. Si accorge che ha gli stessi vestiti del giorno prima. Una volta tocca la foglia con più forza e finisce per spingerla fino all’asfalto, sul fondo della pozzanghera. Quella rimane lì incollata e non torna più a galla, lui la guarda con un’espressione rammaricata, la faccia di quelli che hanno perso la via di casa.

I musicisti poche ore dopo stanno suonando il terzo Nocturne, quello per le sirene, sono loro le principesse per stavolta e hanno quei bei ricci che fa l’acqua salata, hanno ancora la sabbia fra i capelli. Georges si occupa di loro muovendo la bacchetta, se le note si alzano lui le porta in alto con quelle ali e quando si fanno gravi lui le riporta a terra e le posa dolcemente. Appena la musica finisce lo ricorda, come ogni volta, il motivo per cui ha scelto il suo lavoro e anche l’altra mano allora che fino a quel punto aveva cercato di afferrare l’aria, si ferma. Il morto è suo zio, fratello di suo padre, ma lui ancora non lo sa.

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