Per tutti i mozzi di primo pelo e quelli che soffrono il mal di mare.

Benvenuti a bordo!

Questo è il blog che ho aperto qualche anno fa per tenere gli appunti di qualcosa che ancora non sapevo e ancora non so. Nell'estate del 2014 ne è uscito un libro e si spera che presto ne esca un altro. Ha una pagina su Facebook dove possiamo rimanere in contatto (sono di buona compagnia e non sporco più di tanto).

Cap. NS

4 novembre 2013

Jørgen e Svein nel mare di nebbia

«Come puoi dire una cosa del genere?»
«Dico solo che secondo me sono le più buone.»
«Assolutamente no, le aringhe migliori sono quelle di mia sorella, alla Balena Rossa!»

Jørgen e Svein si interrogavano su quale locanda, fra quelle della baia, cucinasse le migliori aringhe al miele. «Ketchup, tu che ne pensi? Ketchup! Ehi Ketchup...»
Jørgen lo chiamò dandogli uno scossone con le dita.
«Lascialo stare, sta dormendo ...»
Rispose Svein. Ketchup era il terzo sulla barca e per l'appunto dormiva, era poco più di un ragazzino. Suo padre era un americano arrivato un giorno con una grossa cassa piena di bottiglie di ketchup e una valigetta di contratti per la fornitura annuale della celebre salsa. Nessun locale in tutta la Norvegia aveva mai servito del cibo con il ketchup fino a prima del suo arrivo, a molti sembrò un passo più lungo della gamba firmare quel contratto ma alcuni ugualmente lo fecero. Iniziarono a mettere cartelli fuori dai locali per far sapere a tutti che quello era l'unica locanda del posto ad avere il ketchup. Una signora di Trondheim che aveva un albergo ci fece anche un dolce una volta. Il padre insomma girò il paese per quasi tre mesi per conto della H. J. Heinz Company facendo firmare questi fogli, guardando ogni sera la foto della moglie e dei figli prima di andare a dormire e sperando di tornare quanto prima a Sharpsburg, in Pennsylvania, a casa sua.
Ma una sera conobbe la madre di Ketchup e forse per il cielo nuvoloso o forse per il clima ostile l'amò per un'ora o poco più, pochi giorni dopo lasciò la Norvegia con cinquantasette contratti e un figlio in più, senza mai venirlo a sapere. Sua madre aveva gli occhi cerulei e dal canto suo lo chiamò come la salsa, per colpevolizzarsi ogni giorno un po'. «Ma non è un nome!»
Obbiettò sua sorella. Era davvero un giorno nuvoloso, il giorno che fu concepito Ketchup, magari un po' freddo.


«Lascialo stare, sta dormendo ...»
Eravamo arrivati qui. Ketchup non prese parte alla discussione dunque.

Remavano già da un po' in un mare di nebbia, di latte e neve, che nulla lasciava capire dell'orizzonte. Erano partiti da ore. «Non si vede nulla, Jørgen.»
Era un bianco scuro, oscuro. «Lo vedo.»
«Come fai a sapere dove stiamo andando? - chiese Svein, che era di poco più giovane di lui, e che iniziava ad avere una certa paura - Inizio ad avere una certa paura.»
Jørgen alzò le spalle. «Da quanto tempo stiamo remando ormai?»
Jørgen mosse la testa per fare “no”, appena. Tirò il labbro inferiore per accompagnare il movimento. «Non si vede nulla - disse Svein, e difatti sembrava di navigare in una nuvola, in una grossa sfera di vapore, con la paura di perdere la strada e non accorgersene nemmeno o di mantenere la giusta rotta senza saperlo neanche – non mi piace quando non mi rispondi, sai Jørgen? Mi fa pensare che non mi stai ascoltando.»
«Ti ascolto invece, anzi, sai che ti dico? Forse hai ragione tu, le aringhe più buone le fanno al Totano D'Oro, mia sorella ci mette troppo miele.»
«Non mi importa più.»
Rispose Svein. Il problema più grande sarebbe fingere di non avere problemi, secondo me.

«Non sei più quello di una volta Jørgen. Ecco, l'ho pensato e te l'ho detto. Non puoi ogni volta lasciarmi così, come se nulla fosse!»
Non c'era più tutto quel tempo, per quel genere di cose che richiedono tempo.

«Vuoi del caffè?»
Domandò Jørgen pur di cambiare argomento. «No grazie, il caffè mi rende nervoso.»
Probabilmente Svein pensò di esserlo già abbastanza.

In quel momento, in mezzo alle lenzuola della nebbia apparve una ferita, qualcosa si muoveva impercettibile alla vista, bianco nel bianco. Jørgen e Svein non se ne accorsero finché non fu a distanza di naso, Ketchup non lo vide perché come si è detto dormiva. «Buongiorno signori, da che parte è l'Inghilterra?»
Il quarto occupante della piccola barca, appena giunto sulla scena, era un gabbiano apparso dal nulla della foschia e posatosi sull'imbarcazione. Reginald, dall'East England. «Credo di essermi perso.»
Continuò il volatile, che lo disse come l'avrebbe detto un inglese, pur essendo più che certo il fatto che si fosse perso. Svein rispose: «Siamo sulla stessa barca, amico gabbiano, noi siamo diretti al faro di Stavanger, non è proprio l'Inghilterra ma se vuoi puoi fare una pezzo di strada con noi.»
«Sicuro! Non è il giorno ideale per volare.»
Confermò Jørgen, salutando il nuovo marinaio. «Nemmeno per prendere il mare - rispose Reginald, dall'East England - ma ormai mi sono perso da giorni, forse mesi.»

Dopo qualche tempo il bianco ormai non era più, il tramonto l'aveva vergato di rosso e la sera lo tingeva di blu. La nebbia non era più latte candido, né nettare di frutti dolci, era vino amaro adesso e il faro di Stavanger non si vedeva ancora. «Jørgen, ammettilo, ci siamo persi!»
Svein lo disse con un tono alterato di chi cova qualcosa da dire da tempo. «Accidenti a te Svein! Va bene, ci siamo persi! Non si vede nulla con questa nebbia, è ovvio che ci siamo persi!»
«Lo sapevo io che ci saremmo persi, ma tu no, non mi hai dato ascolto! Adesso caliamo l'ancora e aspettiamo domattina, se questa nebbia si sarà ritirata.»
Jørgen sbuffò e prese la lampada ad olio per accenderla e fare luce. «Certo che il vostro amico aveva un gran sonno.»
Reginald, dall'East England, cercò di sdrammatizzare. Ketchup seguitava comunque a dormire. Erano quattro naufraghi con una piccola lucina in mezzo al mare. «È un bel pezzo di cielo, dall'Inghilterra a qui.»
Jørgen, ancora.

Il gabbiano Reginald, dall'East England, era un gabbiano abbastanza vecchio da perdere la strada di casa ma anche abbastanza saggio da conoscere qualche storia. Ma non era noioso, no. Allora quando l'ancora fu assicurata, una bottiglia di akevitt aperta per allontanare il gelo della notte che li assaliva e nel mezzo del mare non rimaneva altro che attendere il giorno nuovo iniziò a parlare: «Ho perso la mia bussola.»
Disse il gabbiano, con un'aria molto nostalgica. «I gabbiani non usano una bussola per volare!»
Obbiettò Jørgen. «Hai ragione, compagno di freddo, ma la mia non era una bussola che si tiene in mano, era speciale. Ovunque io fossi indicava sempre da che parte era l'Inghilterra; lo sentivo, riesci a capirlo? Ed ora non trovo più la mia strada. La mia bussola non è più con me ed io non ho pace, vorrei sapere almeno da che parte sta, l'Inghilterra.»
«Puoi sempre vivere altrove, la Norvegia non è male»
«Non capisci, nessun luogo è come quello. L'Inghilterra è la figlia illegittima del mio cuore, se avessi delle ali abbastanza grandi l'abbraccerei tutta. Mi basterebbe sapere dov'è, e volerei per giorni in mezzo a questa nebbia solo per raggiungerla. Vorrei solo risolvere questo problema.»
«Deve essere un bel posto.»
«Il più bello di tutti, eppure vuole sfuggirmi senza che io sappia la ragione. Rimpiango adesso soltanto di non averla salutata abbastanza, e ora che l'ho persa sento che potrei perderla per sempre.»

Reginald, dall'East England, si voltò per guardare fuori dalla barca e non vedere nulla, fra il buio e la nebbia. «Anche quando non è con me, io sono lo stesso con lei.» 

1 commento:

  1. Federica ha chiesto che ci sia una continuazione, vediamo se possiamo accontentarla.

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